lunedì 11 febbraio 2008

chi l'ha detto che...

chi l'ha detto che correre su strada fa schifo?
no, io no di certo. non l'ho mai pensato, anche se sì è vero andare per sentieri è tutta un'altra cosa. ma, c'è modo e modo di correre, procediamo quindi con ordine.
partiamo da una semplice quanto banale considerazione. lungo un circuito cittadino, ma anche lungo un argine mono-tono ciò che il luogo trasmette sono infimi, essenziali, segnali, minimi avvertimenti che cogliamo quel tanto, o quel poco, che basta per non perdersi. il rapporto sinestetico che si instaura invece durante una corsa trail è un'esperienza ricca, colorata, variopinta e profumata, fatta di continue viste, scoperte ed emozioni.
detto questo parrebbe logico, quasi matematico, concludere che la prima delle due fa schifo mentre la seconda sì che è bella. e invece no, perché la corsa in quanto tale ha un valore estetico e di esperienza. un valore intrinseco che non dipende da ciò che sta intorno ma che anzi è una questione assolutamente intima, che riguarda il proprio corpo come motore e come macchina e quindi: la respirazione, il battito, il metabolismo, la distruzione cellulare, la produzione di lattato e, naturalmente il movimento, con la rotazione delle gambe e l'appoggio, la spinta efficiente ma leggera sulla membrana dura dell'asfalto, le contrazioni e le distensioni dei fasci muscolari, il gesto continuo, ripetitivo, senza fine... - quasi. e la corsa su strada è una manifestazione alta della corsa pura, astratta, essenziale, è quindi il massimo per il raggiungimento di quella, quasi mistica, ricerca e percezione di sé come "uomo che corre".
si tratta però di una condizione difficilissima da raggiungere, come una specie di pratica zen, fatta di altissima concentrazione e volontà. e che è, quasi inevitabilmente, esclusiva di una pratica agonistica ad alti livelli. e non è una questione di cronometro, che è solo una diretta conseguenza, ma è piuttosto un problema di quantità, di intensità e di qualità.
ma non mi dilungo, anche perché non vorrei andare oltre le mie modeste possibilità e mi rifaccio piuttosto a chi sì sa scrivere davvero e ha saputo descrivere l'essenza della corsa, già a partire dal titolo e dalle primissime righe di un gran bel romanza (che non parla solo di corsa, però): Mauro Covacich - A Perdifiato, Mondadori, 2003 - Einaudi, 2005.
ma il bello è che mentre mi appassiono alla sua lettura rivivo quel breve periodo in cui nel mio piccolo mi sono avvicinato un po' a quella sfera ascetica culminando nella mia prima e unica maratona. intanto però, mentre rielaboro quei ricordi così intimi e segreti, ieri, dopo un po' d'astinenza, sono tornato sui colli. i miei amati colli euganei. che emozione! illuminati da uno splendido sole di fine inverno, con i primi fiori bianchi e azzurri a spuntare nei prati, le sagome maestose e un po' brute dei castagni secolari, le rocce coperte di opunzie appassite...
che dire a questo punto?

2 commenti:

CORRO ha detto...

il tutto puo essere vero ma quando abiti in luoghi dove 3 volte su 5, corri immezzo a fabriche, discariche, palazzi insulsi... anche pensando alle varie spigolature della bellezza di correre, mi riesce faticoso pensare che e bello correre sulla sfalto in pianura.
vui mettere correre 3 volte su 5 tra boschi e valli e le altre due in parchi anche se cittadini.
ciao e continua a scrivere...
maurizio

krom ha detto...

ottima lettura! sia il libro che hai sottomano sia il tuo post.
mia opinione: il trail facilita le cose per un'immersione totale nel gesto, cosa che uno poi traduce sull'asfalto. a me capita spesso.